sindrome da stanchezza cronica (CFS) sia possibile, per alcuni pazienti, grazie a due nuovi trattamenti.
I risultati mostrano, infatti, che affiancando la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e le terapie basate sull’esecuzione di esercizi fisici graduali (GET) alle cure mediche specialistiche (terapie a base di antidepressivi e farmaci antinfiammatori non steroidei a basso dosaggio) si ottiene una probabilità di recupero dei sintomi CFS tre volte superiore rispetto a prima.
La sindrome da stanchezza cronica (Chronic Fatige Syndorme, o CFS) è una condizione morbosa caratterizzata da stanchezza prolungata, persistente e debilitante e da una serie di sintomi non specifici correlati. Colpisce circa 250.000 persone nel Regno Unito e solitamente affligge i soggetti adulti tra i 20 e i 40 anni, i quali lamentano una stanchezza disabilitante per la quale il riposo non è di alcun aiuto e che si aggrava con l’attività fisica e intellettuale. I sintomi includono anche dolori muscolari e articolari, disturbi del sonno, di concentrazione e problemi di memoria.
I ricercatori della “Queen Mary” in collaborazione con i ricercatori del “King College” di Londra, l'Università di Oxford e il “Medical Research Council” (MRC) hanno analizzato 640 soggetti affetti dalla sindrome di stanchezza cronica che sono stati randomizzati in uno dei quattro gruppi di trattamento: un gruppo veniva sottoposto esclusivamente a cure mediche specialistiche (SMC), un secondo gruppo a cure specialistiche associate a stimolazione adattiva (APT), un terzo veniva trattato con SMC e terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e l’ultimo con SMC in associazione a terapie basate su esercizi fisici graduali (GET).
Precedenti studi avevano già dimostrato che la terapia CBT e quella GET portano ad una maggiore riduzione dei sintomi e della disabilità associata alla sindrome da stanchezza cronica ma, in questo ultimo studio, i ricercatori hanno fatto un ulteriore passo in avanti perché hanno classificato i pazienti e hanno identificato quelli recuperati valutando la non sussistenza, alla fine del trattamento, di quei criteri inizialmente utilizzati per definire l'ammissibilità allo studio.
I risultati hanno mostrato che i pazienti trattati con CBT e GET, in aggiunta alla terapia SMC, avevano una probabilità di tre volte superiore di soddisfare i criteri fissati per il recupero rispetto a quelli trattati soltanto con la terapia tradizionale.
Nel complesso il 22% di coloro che erano stati sottoposti a terapia cognitivo-comportamentale o ad esercizi fisici graduali, in aggiunta alla terapia specialistica, soddisfaceva i criteri fissati per il recupero contro l’esiguo 7% di quelli trattati esclusivamente con cure SMC.
Peter White, professore della “Queen Mary”, ha dichiarato: "Questa è una buona notizia e dimostra che in alcuni pazienti il recupero da questa condizione debilitante è possibile. Ora dobbiamo andare oltre per capire perché solo una parte relativamente piccola di pazienti guarisce, il che dimostra quanto questa patologia vari tra gli individui e quanto sia improbabile individuare un trattamento che funzioni per tutti. Abbiamo dovuto affrontare una questione chiave, cioè delineare dei criteri che ci permettano di stabilire quando il paziente possa essere definitivamente considerato recuperato. Abbiamo, quindi, considerato diverse misure basate sui sintomi e il grado di disabilità per ottenere il quadro più completo possibile. Saranno necessarie ulteriori analisi per vedere se è possibile sostenere il recupero a lungo termine.
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Queste, invece, le parole del Professor Michael Sharpe dell’Università di Oxford: "I trattamenti riabilitativi di CBT e GET per la CFS sono stati controversi. L'analisi dei dati ottenuti dagli studi PACE dimostra, comunque, che non solo questi possono portare un miglioramento nella maggioranza delle persone affette da sindrome di stanchezza cronica ma anche in una consistente minoranza".
Infine il Professore di psichiatria Trudie Chalder, dell'Istituto King College di Londra, ha dichiarato: "Il fatto che le persone siano in grado di recuperare i sintomi correlati alla sindrome da stanchezza cronica è una notizia eccellente. Il personale sanitario potrà essere più fiducioso nel condividere questa possibilità con i pazienti, molti dei quali sono comprensibilmente preoccupati per il loro futuro”.
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