«Una donna fortunata»: si definisce così Imany, la cantante-modella francese che nel suo nuovo album, The Wrong Kind of War, denuncia la realtà della guerra. La sua battaglia però è contro l'endometriosi, problema di molte donne
Era una volta un mondo fatto di cantanti ricche e capricciose, che vivevano in grandi ville e si circondavano di persone al loro servizio. Ogni volta che uno dei loro dischi suonava, il salvadanaio faceva dling!», racconta la bellissima Imany alla fine di una giornata massacrante trascorsa a provare le canzoni della sua prossima tournée. «Nell’era di Deezer e Google Play, tutto questo non esiste più, siamo molto meno viziate. A parte Madonna, Beyoncé o Rihanna, che hanno mantenuto uno stile di vita da milionarie, ci siamo trasformate in militanti della musica. L’amore, la passione e la gioia sono le motivazioni principali che muovono il difficile meccanismo del successo», spiega l’artista francese, che ha appena presentato il suo nuovo album The Wrong Kind of War e farà tre tappe in Italia: il 27 ottobre all’Alcatraz a Milano, il 28 a Fabriano e il 29 all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
Rivelazione musicale del 2013, quando il mondo entrò in contatto con la profondità della sua voce attraverso le note di You Will Never Know, disco multiplatino in Italia, con più di 60 mila copie vendute, Imany si è fatta conoscere, soprattutto in Francia, anche per il suo impegno come madrina di Endomind, associazione per la lotta all’endometriosi, la malattia di cui sono vittime, come lei, circa 14 milioni di donne europee.
«Quando sono diventata famosa ho cominciato a chiedermi come potevo rendermi utile grazie a questa mia condizione privilegiata: ho compreso che era un dovere portare avanti una causa».
È stato difficile parlare di una malattia che molte donne cercano di nascondere?
«All’inizio non mi ero resa conto di quanto potesse essere doloroso, quasi distruttivo, mettersi a nudo e coinvolgere gli altri in una dinamica così intima. Provo molta ammirazione per Angelina Jolie, che ha fatto la stessa cosa con una malattia che, come l’endometriosi, tocca la sfera sessuale. Dopo aver parlato ci si sente fragili, si pensa che la gente non ci veda più come prima».
Lo rifarebbe?
«Un milione di volte, perché i risultati sono stati sorprendenti. Nessuna campagna di prevenzione ha lo stesso impatto della confessione di una persona famosa, che parla della propria esperienza. Immediatamente la gente si identifica, si informa, vuole sapere tutto su una malattia che neanche i medici conoscono. Nel mio caso ci sono voluti 9 anni per avere una diagnosi: un tempo lunghissimo, in cui prendevo fino a 15 pasticche di antidolorifico per poter stare in piedi durante il ciclo. Quando facevo la modella, a New York, ho rifiutato servizi da 10mila dollari perché non riuscivo ad alzarmi dal letto per il dolore. Quando penso alle decine di medici che ho visto... Mi dicevano di stare tranquilla perché è normale stare male durante le mestruazioni».
Forse parlare le ha fatto bene. 10 mesi fa è nato Isaïah, il suo primo bambino, una vittoria nei confronti della malattia che ha come prima causa diretta la sterilità.
«Il mio meraviglioso bambino è la prova che esistono donne fortunate. Ma sicuramente riconoscere la malattia e affrontarla, con yoga e cure alternative, aiuta (non esistono farmaci per curare l’endometriosi, ndr)». Come è cambiata la sua vita di donna e d’artista dopo questo evento inaspettato? «Come artista ho trovato nuove energie, entusiasmo e creatività, come donna non potevo sperare in un destino migliore».
The Wrong Kind of War, il suo secondo album, è totalmente diverso dal primo.
«La vita cambia. Cinque anni fa, quando ho scritto The Shape of a Broken Heart, mi dibattevo nelle problematiche esistenziali tipiche di una donna di 30 anni, che vede le avventure amorose al centro della vita e si pone domande come: perché incontro solo uomini sbagliati? Troverò l’amore o mi dovrò accontentare del solito stronzo? Insomma, le ossessioni che hanno tutte...».
Invece poi ha trovato l’amore e tutto è cambiato?
«Sì, o forse ho capito che il grande amore non esiste e che i progetti comuni sono l’essenza delle coppie, del vivere insieme. Malick Ndiaye è mio marito, il mio fantastico produttore e il padre di mio figlio. Senza di lui la mia vita non sarebbe la stessa. La famiglia per me è essenziale: mia madre si occupa di Isaïah a tempo pieno, e ho 7 fratelli, la mia sorella maggiore Fatou è il mio braccio destro e Saandia, la minore, sta seguendo le mie tracce. Canterà anche nei concerti della mia tournée».
Di che cosa parla il suo ultimo album?
«Mi avvicino alla quarantina e sento che questo è l’album della maturità: musicale, vocale e personale. “Un’artista deve onorare il tempo in cui vive”, diceva Nina Simone, il mio idolo e mia grande ispiratrice. Io lo faccio in questo album che, al contrario del primo, non parla di quello che succede a me, ma intorno a me. Soprattutto la prima canzone, Save Our Soul, mette di fronte a una realtà quotidiana che comincio a trovare insopportabile: le immagini televisive ci mostrano uomini, donne e bambini che muoiono fuggendo da guerre di cui siamo vittime e carnefici, perché sono spesso le bombe comprate con i soldi delle nostre tasse a uccidere tanti innocenti
Il servizio completo sul n. 40 di Vanity Fair. Foto © Barron Claiborne
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