"La vaccinazione anti-HPV: un reale progresso nella medicina preventiva." (Prof .Salvatore Mancuso)

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"La vaccinazione anti-HPV: un reale progresso nella medicina preventiva."
(Prof .Salvatore Mancuso)
La nostra epoca si caratterizza per l’allungamento della durata della vita media: le donne raggiungono e superano gli 85 anni e gli uomini gli 80 e un bambino che nasce oggi ha buone possibilità di superare i 100 anni di età. Tutto ciò grazie allo stile di vita, all’attività fisica, all’alimentazione ma soprattutto al progresso della scienza biomedica. L’impiego degli antibiotici cura e guarisce infezioni e malattie infettive causate da batteri e le vaccinazioni sono il vero baluardo che previene l’insorgenza delle infezioni soprattutto virali, fortificando il sistema immunitario in maniera specifica contro di esse. Le due scoperte rappresentano il vero grande successo della scienza biomedica del secolo scorso.
Recentemente è stato messo a punto un nuovo vaccino prodotto in laboratorio e messo in commercio dopo circa 20 anni di studio, che risulta essere efficace contro una delle malattie più subdole e devastanti della donna: il cancro del collo dell’utero. Praticato in giovane età il vaccino proteggerà la donna e si propone di impedire l’insorgenza di questa grave patologia, difficilmente curabile, soprattutto se viene diagnosticata in epoca avanzata, quando è già diffusa localmente e a distanza.
Ancora oggi si registrano più di mezzo milione di nuovi casi all’anno di questa malattia, la maggior parte dei quali nei Paesi in via di sviluppo, e con un alto tasso di mortalità malgrado l’esecuzione di programmi di screening attraverso l’impiego del test di Papanicolaou, detto più semplicemente striscio vaginale o Pap-test. Scopo di questo esame è quello di diagnosticare nella fase più iniziale quelle alterazioni delle cellule del collo dell’utero su cui potrebbe col tempo svilupparsi il tumore, le così dette lesioni pretumorali, e curarle in modo personalizzato fino ad ottenerne la guarigione. Questa diagnosi precoce configura il programma di una prevenzione secondaria. La malattia si trasmette prevalentemente se non esclusivamente per via sessuale e gli effetti sulle donne sono più devastanti rispetto agli uomini, dato che il tumore che si manifesta in giovane età è rapidamente evolutivo e si diffonde soprattutto a livello locale verso la vescica, l’ultimo tratto dell’intestino, i linfonodi pelvici e il tessuto connettivo e muscolare del piccolo bacino.
Perché un vaccino contro una malattia tumorale?
Il cancro del collo dell’utero o cervicocarcinoma è causato da alcuni tipi della grande famiglia dei Papilloma Virus (HPV), circa 200 tipi diversi, e precisamente i tipi 16, 18, 31 e 45, denominati tipi ad alto rischio. I virus presenti all’interno delle cellule del collo dell’utero possono essere identificati attraverso la tipizzazione del DNA e quindi assegnati alle categorie del basso o dell’alto rischio e ciò consente appunto di programmare le opportune terapie personalizzate, a seconda del quoziente di rischio determinato dal virus.
Ma non è sufficiente il Pap-test per debellare la malattia?
Non lo è, perché non tutte le donne si sottopongono al test e poi l’esame ha una bassa sensibilità, con alta incidenza di falsi negativi quindi il numero dei casi di malattia in fase pretumorale identificati non è sufficiente ad assicurare in modo consistente la riduzione della mortalità.
E la vaccinazione invece promette risultati più validi e duraturi nel tempo?
Indubbiamente la vaccinazione rappresenta un caposaldo di prevenzione primaria, cioè arresta l’ingresso dei virus ad alto rischio perché potenzia l’immunità del soggetto e cioè le difese dell’organismo contro quei virus specifici. Dopo tanti anni di studio, gli scienziati hanno imparato a conoscere la struttura dell’involucro del virus o capside e delle proteine che lo compongono, riuscendo a riprodurlo e ricostruirlo in laboratorio con metodi di biotecnologia. Così a differenza di altri vaccini antivirali, che utilizzano virus attenuati e cioè privati del potere infettante, il vaccino anti-HPV costruito in laboratorio, offre all’organismo che lo riceve il modello del virus ma senza capacità infettante e tuttavia in grado di indurre la formazione di anticorpi, che aggrediscono il virus se in futuro i soggetti vaccinati venissero in contatto con l’agente patogeno.
E quanto dura questo meccanismo di difesa indotto dal vaccino?
Trattandosi di una risorsa preventiva scoperta da poco tempo, non sappiamo esattamente la durata dell’effetto della vaccinazione, dato che il tempo di osservazione non è stato sufficientemente lungo. Sta di fatto però che l’immunizzazione e cioè la presenza di anticorpi specifici anti-HPV permane per almeno 5,5 anni e una successiva vaccinazione di richiamo eseguita dopo questo intervallo di tempo fa aumentare notevolmente la presenza di anticorpi. Questo fa pensare che anche una eventuale infezione virale sopraggiunta anni dopo la vaccinazione funzionerebbe da richiamo per questi soggetti già vaccinati.
Quando e come va praticata la vaccinazione e a quali soggetti?
Nel nostro Paese il vaccino tetravalente per i ceppi 6, 11,16 e 18 (Gardasil), i primi due responsabili della condilomatosi ano-genitale, o “creste di gallo” oltre a quelli ad elevato richio tumorale (16/18) e quello bivalente per i ceppi 16 e 18 (Cervarix) sono disponibili in commercio dal 2007; l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ne ha stabilito la dispensazione e la rimborsabilità dietro prescrizione medica attraverso il Sistema Sanitario Nazionale, mentre è gratuita la vaccinazione a tutte le bambine di età compresa da 9 a 14 anni. I costi del vaccino tendono ad abbassarsi col trascorrere del tempo e nelle ASL e nei centri ospedalieri il pagamento è a tariffa agevolata
La somministrazione vaccinale consiste in tre dosi per via intramuscolare nell’arco di 6 mesi, al tempo 0, 2 e 6 mesi per il Gardasil e al tempo 0,1 e 6 mesi per il Cervarix.
Non è stato provato alcun effetto protettivo nei riguardi della malattia da HPV 16/18, considerata quella a più alto rischio, nei soggetti che hanno già contratto il virus e le lesioni indotte da questo agente patogeno.
La vaccinazione è riservata solo alle bambine e alle donne?
Le due preparazioni di vaccini producono efficacia e risposta immunitaria anche in donne sessualmente attive tra 15 e 26 anni e in bambini e adolescenti maschi e femmine tra 9 e 26 anni e nella donna adulta di 26-45 anni a discrezione del ginecologo.
Sono descritti effetti negativi dalla vaccinazione?
Il profilo di sicurezza, specialmente del Gardasil è risultato ottimo e così pure la tollerabilità in alcune decine di migliaia di casi studiati nella fase preclinica e nel corso della sperimentazione durante gli studi clinici e dopo l’immissione in commercio in circa un milione di persone in tutto il mondo. Si sono verificati alcuni casi di reazioni locali e lievi rialzi febbrili e in rari casi modeste reazioni allergiche e in ogni caso ben controllabili. Non sono state dimostrate scientificamente associazioni con eventi avversi seri.
Quindi è consigliabile sottoporsi alla vaccinazione?
Indubbiamente vaccinarsi previene il rischio di contagio e quindi di insorgenza della malattia tumorale e dagli studi che verificano gli effetti e i risultati a distanza, emerge un chiaro beneficio alla collettività. Si è registrata una netta riduzione di Pap test alterati e di colposcopie e conizzazioni. In Australia, il Paese dove si è raggiunto il più alto tasso di adesione vaccinale, si è registrato una riduzione della condilomatosi genitale in ragione del 90% circa e una riduzione del 50% delle lesioni pretumorali gravi nelle giovani vaccinate con il Gardasil.
Il programma vaccinale applicato dai servizi pubblici sui grandi numeri lascia prevedere una drastica riduzione della malattia tumorale al collo dell’utero e alle altre sedi meno frequenti in cui il virus può indurre l’avvio di un processo tumorale. Si può ben sperare che in futuro questo gruppo di malattie possa definitivamente cessare di contagiare e falcidiare tanti esseri umani, nella gran maggioranza donne, e non fare più parte della cultura medica come è avvenuto per altre malattie come ad esempio la peste e il vaiolo, non più presenti tra le malattie studiate nelle facoltà universitarie di biologia e medicina.

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