LUCIA PINTO: "IO HO L'ENDOMETRIOSI"

La mia storia è stata buia e sconosciuta fino a pochi anni fa. Ho avuto le mie prime mestruazioni a 10 anni e fin da allora ho avuto dolori durante tutto il ciclo. Purtroppo sono cresciuta in una famiglia bigotta e conservatrice e non mi hanno permesso di consultare medici, fino a quando una mattina mi sono svegliata dolorante, allo stremo delle forze con un flusso che durava 20 giorni. Avevo 14 anni e fui costretta a lasciare la scuola, gli amici perché non riuscivo ad avere nessun rapporto con la società, pensavo solo al mio dolore. I medici di allora mi diedero una cura di cortisone e diagnosticarono il mio problema come “allergia” e dissero che fino alla maggiore età il mio metabolismo era questo e che me ne dovevo fare una ragione. “Farmene una ragione”. Era la frase che spesso si presentava davanti la mia vita. Avevo 14 anni e a quell'età pensi a tutt'altro che avere di tali problemi. Pensi a sperimentare emozioni, ad avere dei segreti, a vedere la vita, ad uscire, alla moda, al trucco. Ma io mi rendevo conto di avere un problema grande, un problema a cui gli altri non credevano e che sminuivano. Avevo poche amiche perché non credevano ai miei dolori e malanni, è perché tante volte non uscivo con loro. La mia fortuna è che sono cresciuta in un ambiente cattolico, così frequentando gruppi e incontri di preghiera in chiesa riuscivo ad avere una vita sociale, a farmi qualche amica e soprattutto ad essere capita. Ma a 17 anni ho avuto di nuovo una grande crisi emorragica, con dolori molto più acuti al basso ventre, così sono finita in pronto soccorso e i medici, dopo un ricovero e un intervento di laparoscopia, mi hanno detto: ”No, sei solo nervosa, stressata. Vai a farti un viaggio: ti passerà tutto”. Mi hanno dato un anticoncezionale per far star zitti la mia famiglia e me soprattutto. In quel momento ho capito che a questo mondo non c’è da fidarsi nemmeno dei medici, e così piano piano persi fiducia in loro. In famiglia mi credevano una spostata, che inventava una finta malattia per attirare l’attenzione e giudicavano il mio un comportamento non sano. Tutto questo mi distruggeva dentro. Così sono nati in me sentimenti di orgoglio e rabbia. Ma non volevo fare scenate, né abbattermi di fronte a quel fatto. Ho cominciato a reagire dimostrando a tutti di avere forza di volontà. Così ho trovato un lavoro, d’inverno anche due. Mi buttavo in tutto. Ho fatto la pasticcera, la commessa in merceria, la barista, ho lavorato in un magazzino, in campagna, ho lavato le scale nei palazzi, e pulito le case delle signore anziane. Facevo tutto quello che mi faceva guadagnare e soddisfare la mia voglia di vivere. Ma quel periodo del mese (cioè il ciclo) per me era sempre una debolezza che mi fermava. A lavoro ero costretta a prendere dei giorni di malattia perché non mi reggevo in piedi e poi i dolori si erano fatti ancora più forti con gli anni. In questo periodo però sono riuscita ad avere delle vere amiche, che mi sono rimaste accanto e la cui amicizia coltivo ancora oggi. In seguito mi sono fidanzata con quello che ora è mio marito. I rapporti con la mia famiglia, soprattutto con mamma e papà, sono migliorati tanto che ho cominciato a raccontare tutto di me, senza paura e senza timore di essere giudicata. Grazie a loro ho avuto la forza di guardare avanti e ho avuto sempre aiuto. Ho preso persino il diploma. Non mi sentivo più sola finalmente. Grazie a loro ho potuto affrontare anche la morte di mio fratello, anche se il cuore sembrava non poter sopportare tanto dolore. Una tragedia che mi segnerà tutta la vita. In amore penso di essere stata molto fortunata, perché mio marito è sempre stato comprensivo con me. Mi ha aiutato in tutti i modi in cui una persona può essere aiutata. Mi ha aiutato a prendere il diplomino come OSS a Roma, mi ha aiutato a realizzare il mio sogno di diplomarmi in Informatica e mi ha aiutato a curarmi. Gli avevo confidato la mia sfiducia nei medici, ma lui non si è arreso. Mi ha portato a Roma e dopo ricoveri e accertamenti avevamo, forse, trovato un po’ di luce dopo tanto buio. Mi fu diagnosticato il morbo di Cronh. Sono stata in cura per tre anni con vari farmaci, ma l’unica cosa positiva era stato il mio contratto come OSS in una clinica privata. Avevo cominciato a soffrire di nuovo, ogni mese, per la durata di 15 giorni circa. La mia storia ora si svolge tutta in salita; nonostante l’entusiasmo dei preparativi per il matrimonio, mi sentivo ancora peggio. Vivevo momenti di terrore. Avevo paura di perdere il lavoro a causa dei periodi di malattia che prendevo frequentemente. Avevo paura di perdere mio marito, gli amici e la stima dei colleghi. Ricordo benissimo il mio calvario, che da allora non ha ancora avuto fine. Nel Natale del 2010 ho avuto una grave emorragia durata 27 giorni. Dopo di che mi sono allarmata e ho cominciato a consultare vari medici. Ma la risposta era sempre quella: “Non hai niente. Il problema è nella tua testa. Tu lavori con i pazzi e sei pazza pure tu”. Uno mi ha fatto proprio ridere: ”Sono le feci che sono dure”, ma se vado a diarrea!!! Così si ripeté la storia. Una storia che ho vissuto sempre, fin dalle prime mestruazioni, un film che proiettava sempre la stessa pellicola. Dolori sconosciuti. Invalidità enigmatiche e incomprensioni. Ho passato l’estate 2011 con emorragie che duravano 8 giorni con una pausa di 5. Ero allo stremo. A lavoro sbagliavo sempre. Sbagliavo con i colleghi, con i ragazzi che curavo, mi alteravo con i miei genitori e con mio marito, allora fidanzato. Vivevo in una montagna d’incomprensioni. Sì, ero incompresa. E sapevo che chi mi poteva aiutare non lo capiva. Quando davvero non ce la facevo più ed ero rimasta senza forze, sono crollata. Era il 1 settembre 2011 e mio marito mi portò in pronto soccorso, lì conobbi un medico umano, comprensivo e che ha saputo cogliere la mia debolezza, la mia sfiducia nei medici, la mia rabbia, il mio dolore. Ero arrivata a mezza notte emorragica, con febbre a 39 e dolori per tutto il ventre. Poi, dopo la visita, dopo dodici lunghi anni, finalmente la diagnosi: “ENDOMETRIOSI”. Da una parte il mio io diceva: finalmente, il mio malanno ha un nome; dall'altro invece: non è possibile, perché? Eppure le visite e vari analisi e accertamenti li ho fatti, come mai nessun altro medico prima di lui ha saputo diagnosticarmelo? In seguito le mie domande hanno ricevuto delle risposte grazie a questo medico a cui mi affido e a cui ho chiesto di non abbandonarmi. Perché così e che mi hanno fatto sentire altri luminari, quando mi dichiaravano stressata, stanca o peggio pazza: abbandonata. Da parte sua, lui si è sentito in dovere di chiedere scusa anche da parte di tutti i suoi colleghi che non hanno fatto bene il loro lavoro e, cosa più ammirevole, ha ammesso i suoi limiti. Mi ha accompagnato, e mi accompagna tutt'ora, in un’avventura sconosciuta e dolorosa. Mi sono confidata con lui e ho raccontato tutto il mio vissuto e la sfiducia di medici che, secondo il mio parere, erano in cerca solo di contanti per pagarsi le loro macchine, le loro case e le loro amanti. Così finalmente la diagnosi corretta: Endometriosi severa del setto retto-vaginale, focolai sparsi in intestino, vagina, rene, utero, ovaie. Il focolaio più grande è nel retto, di quasi 4 cm. L’intervento prevedeva la rimozione di tutti i focolai formatisi e la resezione del retto, quindi una stomia con una busta provvisoria. Come puoi reagire a questa notizia? Ti senti solo sperduta e pensi a quello che ti è accaduto in passato, agli amici che non ti capivano, alle liti con il fidanzato, alle incomprensioni vissute con i genitori. Endometriosi. Una malattia invalidante. In Italia ne soffrono poche donne. Troppo poche per essere inserite nei tabulati dell’INPS. Una malattia a cui nessuno crede e che ti fa avere problemi con il mondo esterno, soprattutto col lavoro. Da settembre 2011 fino al giorno dell’intervento, 7 febbraio 2012, ho passato momenti di frustrazione, disagio, incomprensione e soprattutto di bisogno. Chiedevo aiuto in tutto: per andare in bagno, per le medicine, per lavarmi, per camminare, insomma per tutte le cose quotidiane. Mi sono ridotta così. La malattia mi ha ridotto così. Ero un’invalida che lo Stato e le autorità competenti non capivano. Da questa malattia e da questo disperato bisogno di aiuto è nata la consapevolezza di avere accanto un cuore grande e che per me ha fatto cose che non s’aspettava di dover fare, come prendere un aereo e vivere in altra città: mia madre. Lei, che non è mai uscita fuori dal suo guscio, così silenziosa e discreta, come gli antichi canoni dettano per i suoi tempi. Lei, bigotta e taciturna ha trovato una forza innata, affrontando medici e viaggi che mai si sarebbe sognata. Nessuno credeva che mia madre fosse così forte e che potesse diventare uno dei miei principali sostegni. Ma dove ha trovato la forza? Questo è solo amore materno. Ho avuto tanta comprensione anche da parte dei miei datori di lavoro, che mi hanno assicurato il mio posto e mi hanno augurato tanta fortuna per l’intervento. Un’altra azienda mi avrebbe già licenziato, come ho sentito in altri casi. Ma oltre a questa bella scoperta ho avuto la dimostrazione più bella e sincera che una donna si aspetta: mio marito. Eravamo fidanzati quando insieme abbiamo accolto la notizia. Sono molto fortunata perché mio marito ha studiato infermieristica e quindi sapeva della malattia. È stato lui a darmi delucidazioni sul mio stato e a chiarirmi tanti perché. Perché avevo dolori prima, durante e dopo il ciclo, perché avevo dolori e sanguinamenti durante i rapporti, perché la caduta dei capelli e delle unghie (per la mancanza di ferro soprattutto per le perdite eccessive di sangue), perché ero sempre stanca e spossata, ecc. … È qui che è esploso il suo amore. L’unico inconveniente è stato che abbiamo dovuto rinviare di sei mesi il matrimonio, perché non rientravamo nel budget con le spese dell’intervento e della mia permanenza a Lecco. È stato comprensivo e meraviglioso e nello stesso tempo è stato bello essere coccolata da lui. Mi aiutava a lavarmi, a pettinarmi… mi stirava persino i capelli. Si occupò lui dei preparativi per il viaggio fino a Lecco, si è occupato del Bed & Breakfast e dell’assistenza aerea. E così è arrivato il mattino dell’intervento. Fino alla sera prima ero molto preoccupata, poi mi sono svegliata con una certa serenità e l’ho fatto presente anche al medico. Forse il mio sorriso ha colpito tutta l’equipe, infatti sono uscita dopo 11 ore d’intervento, ma col sorriso, perché non mi avevano toccato l’intestino. Mi sentivo miracolata. Quando ho visto il medico la mattina seguente l’ho ringraziato. Mi sembrava come se avesse operato con le mani di Dio, ero al settimo cielo e certa di aver risolto i miei problemi. Mi sono rimessa, ci sono voluti due mesi, e dopo la cura di analogo (Enantone 3,75) che mi metteva in menopausa mi sentivo bene. Ho organizzato le mie nozze e non pensavo altro che a mio marito. Mi sono sposata in autunno e vicino al Natale che adoro, 17 dicembre 2012, mi sembrava l’anno mio, l’anno della fortuna. A gennaio il viaggio di nozze e invece, come nelle belle fiabe che si vivono, c’è sempre una parte che non va per il meglio. È arrivato febbraio e i sintomi, nonostante la cura, ritornano. Ritornano i dolori, ritorna la stanchezza cronica, ritornano le notti insonni a causa dei dolori e ritorna anche lo sconforto. Quello sconforto che mi ha sempre fatto male al cuore e all'anima. Così, da capo, nuove analisi, nuovi accertamenti e la notizia che tutto il dolore vissuto, tutti i momenti passati non erano serviti a nulla. Ti chiedono di fare un figlio, ma come puoi fare un figlio se non hai un lavoro stabile? Una salute stabile, soprattutto. Io non posso fare un figlio solo per terapia, lo devo volere veramente e amare, questo bambino. Non posso mettere al mondo una creatura con l’insicurezza che il mondo offre di questi tempi. Ma alle porte arriva un’altra delusione, la paura che ho sempre vissuto, e che come una premonizione, si è rivelata, in un bel giorno di maggio. Vado a visita di controllo, come ogni sei mesi, dal medico che mi ha operato e mi dice che non ho niente. Nemmeno la risonanza magnetica fatta settimane prima lo convince, laddove il referto attesta una recidiva della malattia, e capta due noduli di 2 cm circa. Lui interpreta l’esame come segni dolenti delle cicatrici e che è normale avere i classici sintomi della malattia. Mi ha liquidato così, ma io non ero convinta. Ne ho parlato col mio ginecologo ed era d’accordo con la mia teoria, che dovevo approfondire e chiedere altri consulti da altri medici. Da allora non ho fatto che pensare a cercare centri idonei per endometriosi e che studiano la malattia e si occupano solo di essa. Ho consultato un dottore di Bari, e la sua onestà, Dio lo benedica, mi ha svegliata da un lungo letargo. Ha detto: “Mi spiace non voglio essere io a rovinarti la vita” e non ha accettato il mio caso. Poi sono andata ad Avellino, dove mi è stata accertata una recidività e mi è stato consigliato di fare un’ecografia specifica a Salerno. Lì, io e mio marito abbiamo avuto tante riposte. Tutte le risposte che cercavamo a tanti perché. La diagnosi e il rischio era sempre quello: Endometriosi del setto-retto vaginale con un focolaio (=nodulo) di 4cm, si eseguirà resezione del retto con stomia addominale. Il medico di Avellino voleva procedere da subito, ma io avevo bisogno di fidarmi. E così, non mi restava altro che cercare un buon centro adatto al mio problema specifico. E su consiglio del mio ginecologo mi sono messa in contatto con Verona che ha accettato il mio caso e attendo il giorno del grande viaggio, quello che mi darà un po’ di sollievo dopo tutto questo dolore, anche se so che la strada è lunga e difficile. Sono in lista d’attesa per un altro intervento e dentro di me cresce la paura. Quello che sento è indescrivibile. Pensavo che tutto il dolore che ho subito più di un anno fa non lo avrei mai più provato in futuro, ma purtroppo l’endometriosi è una malattia cronica e non ci si può far nulla. Si è ripresentata più forte e accanita della prima volta. Non esiste nessuna cura specifica, solo esperimenti e prove per torturarmi. Mi sento una cavia alla ricerca disperata di nuovi antidolorifici. Un giorno, in preda ad uno sfogo scrissi: “La verità è che io non vedo più sorgere né tramontare il sole, le mie giornate sono buie in una camera oscura, colme di dolori tutti i giorni per tutto il giorno e se non ci fosse mio marito e i miei genitori non avrei veramente nessuno. Se non si trova una soluzione quanto prima potrò solo pensare che nulla è efficace. Scusate ma ascoltare ‘forza e coraggio’ non basta più”. Nessuno sa cosa vuol dire avere i dolori dell’endometriosi, solo le donne come me lo sanno e comprendo ora che solo loro ti capiscono. Sanno parlarti quando vuoi conforto e sanno stare in silenzio quando desideri pace.

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